venerdì 6 febbraio 2009

Il gioco del perchè.

7.9 "Alla fine, l'equilibrio interiore non è da cercare. Forse ce l'abbiamo già, e più ci muoviamo o agitiamo o altro, e più ce ne allontaniamo. Il fatto è che parlare di equilibrio interiore mi sento un povero stronzo. Mi sento uno di quei termini che si usano nelle sedute di psicoanalisi liberatoria collettiva o nei rifugi per donne violentate. Okay, tutto mi dice di essere forte, determinato negli scopi, capace di andare avanti nella Vita, ma se uno sente che è arrivato il momento di cambiare un pò rotta o anche solo il bisogno di fermarsi a ragionare sul serio per proprio conto? Voglio dire: e i cazzi di sette e mezzo in latino, per esempio, che da semplici strumenti sono diventati una specie di fine ultimo?... Insomma, a quanto ne so dovrei studiare per strappare un titolo di studio che a sua volta mi permetta di strappare un buon lavoro che a sua volta mi consenta di strappare abbastanza soldi per strappare una qualche cavolo di serenità tutta guerreggiata e ferita e massacrata dagli sforzi inauditi per raggiungerla. Cioè, uno dei fini ultimi è questa cavolo di serenità martoriata. Il ragionamento è così. E allora, perché dovrei sacrificare i momenti di serenità che mi vengono incontro spontaneamente lungo la strada? Perché dovrei buttarli in un pozzo, se fanno parte anche loro del fine a cui tendere? Se un pomeriggio posso andare a suonare o uscire con una ragazza che mi piace, perché cavolo devo starmene a casa a trascrivere le versioni dal traduttore o far finta di leggere il sunto di filosofia? La realtà è che mi trovo costretto a sacrificare il me diciassettenne felice di oggi pomeriggio a un eventuale me stesso calvo e sovrappeso, cinquantenne soddisfatto, che apre la porte del garage col comando a distanza e dentro c'ha una bella macchina, una moglie che probabilmente gli fa le corna col commercialista e due figli gemelli a caschetto identici in tutto ai bambini nazisti della kinders. [...] Dunque la domanda è: un orrore di queste proporzioni vale più del sole e del gelato di oggi pomeriggio? Più di una qualunque ragazza?"

(da "Jack Frusciante è uscito dal gruppo" di Enrico Brizzi, pag 42-43, Baldini Castoldi Dalai editore)

Sono il frutto di una generazione fottutamente insicura. E ancora peggio: una generazione che procede per fini ultimi, senza chiedersi i motivi reali delle proprie rinunce, dei propri sforzi, delle proprie debolezze. Una generazione che vive nel commento altrui. Una generazione dove il verbo chiave è l'apparire e non più l' essere quanto essere pensante. E proprio in questi casi che vorrei essere una barca nel bosco.

Sono qui, sorseggiando il mio thè bollente. E rifletto e.

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